«Che aspetto avrà avuto un mio probabile (o improbabile) antenato, quel Guccino da Montagu’ che, secondo un documento del Cinquecento, è chiamato come testimone in un processo riguardante dei possedimenti fondiari? “Non so che viso avesse…”, è il caso di dirlo»: come sempre, per raccontare di sé Francesco Guccini parte dalle radici.
La famiglia di mugnai che per secoli fatica e lotta in una valle tra gli Appennini, il padre che per primo fa un mestiere diverso, e poi lui, il giovane Francesco, che presto impara a giocare con le parole, come cronista alla «Gazzetta dell’Emilia», come insegnante di lingua italiana, poi come autore di testi in versi in prosa, con la musica e infine: il concerto, il luogo dell'incontro col pubblico, secondo una liturgia ritualizzata che comincia con il c'era una volta di "Lunga e diritta correva la strada" di "Canzone per un'amica" per finire con l'epos trionfale di "Non so che viso avesse" della "Locomotiva".
E poi le osterie, le grandi amicizie - con Luciano Ligabue e Leonardo Pieraccioni - i viaggi tra la via Emilia e il West, la passione civile e quella amorosa, la chitarra, la scrittura, i compagni di strada ormai partiti «per più verdi pascoli»: in questo libro corre veloce il racconto di una vita che ha accompagnato le nostre con il timbro della sua voce inconfondibile.
Una mia biografia essenziale, scrive Guccini, potrebbe suonare così: "Sono nato nella prima metà del secolo scorso; ho scritto e cantato canzoni; ho pubblicato romanzi e racconti e sono, fortunatamente per me, ancora vivo". Se si volesse però, da queste note stringate, ricostruire la storia della mia vita, bisognerebbe arricchire il tutto con aneddoti, episodi, ricordi più o meno vaghi, aggiunte di vario tipo (come e perché, ad esempio, nel marzo del 1970 ho deciso di tenermi la barba), descrizioni di personaggi umani e, perché no, animali. Ma una vera biografia risulta quasi impossibile da scrivere; troppi dettagli sfuggono dalla memoria, troppe vicende sembrano svuotate di senso e mancare di contenuti, troppi protagonisti appaiono ormai come un pallido fantasma, privi di quello che erano stati veramente, nell'essenza della loro vita quotidiana. Troppi fatti sarebbero raccontati in maniera fugace e superficiale. E quante riflessioni sul chi e sul come, sul pro e sul contro, sarebbero evitate.