In prima istanza si tratta di una biografia di Gesualdo da Venosa, compositore vissuto a cavallo fra il XVI e il XVII secolo. Il suo nome è legato da una parte al fondamentale contributo che egli fornì allo sviluppo della musica polifonica, dall’altra al drammatico episodio dell’uccisione della prima moglie, Maria d’Avalos, e del di lei amante Fabrizio Carafa.
La storia del principe madrigalista e uxoricida non è però narrata direttamente, bensì attraverso una presunta cronaca d’epoca, attribuita a un servo deforme di nome Gioachino, che capita fra le mani del riscopritore novecentesco dell’opera di Gesualdo, niente meno che Igor Stravinskij. Ecco dunque la struttura del romanzo: una cornice, nella quale Stravinskij, intento alla composizione del suo Monumentum pro Gesualdo da Venosa ad CD Annum (eseguito per la prima volta a Venezia nel 1960), scrive al musicologo Glenn Watkins del suo rapporto con Gesualdo, e gli invia la (immaginaria) Cronaca della vita di Carlo Gesualdo principe di Venosa del Signor Gioachino Ardytti servitore fedele. In conclusione, Glenn Watkins (che di Gesualdo è studioso autorevolissimo) risponde a Stravinskij, formulando alcuni commenti che esplicitano la chiave di lettura della vicenda.
«Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico. Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito? Per vendicare l’onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D’Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto. Questa storia − è ciò che il lettore scopre sbalordito − ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio. Con un gioco colto e irresistibile, tra manoscritti ritrovati e chiose di Igor' Stravinskij − che nel Novecento riscoprì e rilanciò il genio di Gesualdo − Andrea Tarabbia, scrittore tra i migliori della sua generazione, costruisce un romanzo importante, destinato a restare. L’edificio che attraverso Madrigale senza suono Tarabbia innalza è una cattedrale gotica da cui scaturisce la potenza misteriosa della musica. È impossibile, per il lettore, non spingere il portale. E, una volta entrato, non restarne intrappolato.»
Hanno scritto di questo libro:
«Solo la fragilità e il dolore, presi per mano dall’amore ci portano nel punto più profondo del mondo». (Alessandro D’Avenia, «Corriere della Sera»)
«Tarabbia si avvicina a un fatto attirato da un richiamo morale, e lo usa per indagare − senza alcunché di morboso, miracolo − il Male nella e della Storia attraverso la scrittura, in una tradizione che va dai Demoni di Dostoevskij fino a Carrère o Vollmann». (Marco Rossari, «Il Sole 24Ore»).
«Tarabbia non dà risposte. Forse perché, come tutti, non le possiede. Forse perché il compito della letteratura − e dei bravi scrittori − non è quello di dispensare certezze ma di instillare dubbi e suscitare quesiti. Di spronare alla riflessione, sempre». (Antonella Falco, «Nazione Indiana»).
Andrea Tarabbia è nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi La calligrafia come arte della guerra (2010), Il demone a Beslan (2011), Il giardino delle mosche (2015; Premio Selezione Campiello 2016 e Premio Manzoni Romanzo Storico 2016) e il saggio narrativo Il peso del legno (2018). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov. Madrigale senza suono è il suo primo romanzo per Bollati Boringhieri. Vive a Bologna.
#CiPiaceLeggere