Si presenta come la storia di un bambino che vede il mondo solo a metà, o meglio, ha difficoltà a interpretare la parte di sinistra ogni qual volta ci sia una linea verticale che ne tracci un’ipotetica divisione.
La vita di Buttarelli viene raccontata come fosse un lungo resoconto di quanto lo zio del narratore gli abbia riferito del protagonista. Uno zio, Gualtieri – lo scopriamo dalle prime righe – che racconta le cose per intermittenze e ricadute, con un andamento centrifugo che disperde il discorso in tanti temi satellite, magari interessanti, ma di poca economia d’insieme.
Pagina dopo pagina riviviamo degli episodi che hanno contraddistinto l’esistenza di un bambino che viene sempre nominato per il solo cognome, Buttarelli, e che diventa via via ragazzo, uomo, vecchio. Scopriamo così come l’infanzia fosse segnata da un’anomalia che impediva al bambino, ad esempio, di riuscire a leggere tutte le pagine pari, limitandosi alle sole pagine dispari. Ma questo aspetto, che viene definito il meccanismo della specularità, rappresenta solo una delle tante particolarità che affliggono il protagonista. Anche durante le fasi di crescita saremmo sempre di fronte a una persona eccezionale, dalle capacità neurologiche del tutto uniche, ma anche davvero alienato.
Tra i personaggi che compaiono lungo lo strano percorso esistenziale di Buttarelli troviamo la direttrice Maribèl, le compagne di scuola Eustrella e Ottilia, l’amico Bioli, il compagno della madre vedova Fulgenzio, la collega di lavoro Ciarma Schwartz, la donna che sposerà, Berengaria. Tutti nomi particolari vero?
Se da un lato non si può non avere che un’ottima opinione dell’opera di Colagrande, dall’altra l’esperienza di lettura risente di una difficoltà nel seguire le vicende narrate, in quanto si incontrano tante divagazioni, alle volte umoristiche, altre volte più cervellotiche. Ci si perde insomma per strada, si deve compiere uno sforzo che il lettore meno abituato potrebbe ritenere eccessivo. Ma l’autore-narratore ci aveva avvertiti subito di questo: diamo quindi la colpa allo zio Gualtieri!
In sintesi un romanzo che si ricorda con il sorriso, pazzerello e intelligente, un po’ ostico da leggere e quindi non proprio per tutti.
Paolo Colagrande - Avvocato e scrittore piacentino, classe 1960, esordisce con il romanzo Fìdeg, bizzarra e dissacrante storia di un'avventura letteraria pubblicata da Alet nel 2007. Come spiegato nel glossario posto alla fine dell'opera, il titolo del libro è un'esclamazione dialettale che vuol dire 'fegato'. Grazie a Fìdeg ha vinto il Premio Campiello Opera prima a un mese dalla pubblicazione e ha ricevuto una menzione speciale al Premio Viareggio nella stessa sezione. Sempre per Alet, nel 2008 è uscito il romanzo Kammerspiel; al 2010 risale invece la prima edizione, per Rizzoli, di Dioblù. Autore di diversi racconti, ne ha pubblicati alcuni sulla rivista Linus e uno nella raccolta Panta. Emilia Fisica, a cura di Paolo Nori (Bompiani, 2006). Insieme a Daniele Benati, Ugo Cornia e allo stesso Nori, è stato tra i curatori e collaboratori della rivista letteraria L'accalappiacani, «settemestrale di letteratura comparata al nulla» edito da DeriveApprodi (suo fu uno dei racconti del numero zero dal titolo: Non possiamo non dirci cani). Con il suo quarto romanzo Senti le rane (2015) è entrato nella cinquina dei finalisti del Premio Campiello. Nel 2019 ha firmato La vita dispari, «un racconto originale, condotto con una scrittura scorrevole, costellata di considerazioni psicologiche e filosofiche, venata di ironia» (Sette – Il settimanale del Corriere della Sera).